cogne, parco nazionale del gran paradiso

Parco nazionale Gran Paradiso

Il Parco nazionale del Gran Paradiso è il primo parco nazionale italiano: è stato istituito con R.D.L. 1584 del 3 dicembre 1922.
Insieme all’Abruzzo-Lazio-Molise è il decano della conservazione della natura in Italia.

Il Parco comprende l’omonimo massiccio e cinque valli principali. Il parco ha una quota minima di 800 mt e si eleva fino alla cima del Gran Paradiso a 4.061 mt. Il territorio ha caratteristiche di grande naturalità. La sua storia è legata indissolubilmente a quella della salvezza dall’estinzione di un animale-simbolo delle Alpi: lo stambecco.

cogne, parco nazionale del gran paradiso

Le cime principali: Gran Paradiso di 4.061 mt, Becca di Montandayné di 3.838 mt, Ciarforon di 3.642 mt, Grivola di 3.969 mt, Herbetet di 3.778 mt, Tresenta di 3.609 mt, Roc di 4.026 mt, Rosa dei Banchi di 3.164 mt, Levanne di 3.619 mt, Torre Lavina di 3.308 mt.
Per ben 14 km, lungo la catena delle Levanne, il parco confina con il parco nazionale francese della Vanoise, istituito nel 1963 ed esteso su 53.000 ettari, cui si sommano altri 140.000 ettari di preparco.
Il parco francese ha ambienti del tutto simili a quelli italiani ed ospita mille stambecchi e 4.500 camosci.
Insieme, i due parchi costituiscono una grande area protetta sulle Alpi di oltre 123.000 ettari, di grande rilievo naturalistico.

val di cogne, parco nazionale gran paradiso

Paesaggio
Il parco comprende quasi totalmente il massiccio del Gran Paradiso. Si estende su cinque vallate principali, le valdostane val di Cogne, Valsavarenche e val di Rhêmes, le piemontesi valle dell’Orco e val Soana.
Il Gran Paradiso, coi suoi 4.061 mt d’altezza, è l’unico “quattromila” interamente in territorio italiano.
La sua cima, perennemente ghiacciata, fa da riferimento per tutti gli escursionisti di questo bellissimo parco, praticamente non attraversato da strade.
L’Ente Parco ha realizzato la regolamentazione del traffico sulla strada d’alta quota del Nivolet, un’area di grande importanza naturalistica, durante le domeniche estive. Nel solo 2004 l’iniziativa ha coinvolto 4.900 turisti che sono saliti al colle con le navette, 230/250 auto sono state lasciate a valle ogni domenica, con un 49% di visitatori che si recava al Nivolet per la prima volta grazie alla campagna di stampa che ha prodotto oltre 250 contatti giornalistici.
Quello del parco è un ambiente tipicamente alpino, decisamente difficile, regno della neve e delle basse temperature, generalmente al di sotto dello zero.
Sulle creste battute dal vento, in inverno, spesso la temperatura è di 30-40 gradi sotto zero. Ma anche d’estate, durante la notte, le temperature raggiungono a volte il punto di gelo. D’estate, invece, la rarefatta aria di monte raggiunge anche i 40-50 gradi. Una bella escursione termica! In un anno la differenza può essere di 80° mentre quella giornaliera di 40°.
Ma la differenza di temperatura si registra anche in variazione dell’altitudine, scendendo di circa 0,6° ogni 100 mt. In pratica tra il punto più basso (mt 800 in valle dell’Orco) e la cima del Gran Paradiso, c’è una differenza di circa 19°. Oltre il 50% del parco è costituito da rocce, ghiacciai, morene e macereti.

val di cogne, parco nazionale gran paradiso

Flora e vegetazione
Le caratteristiche ambientali, anche piuttosto difficili, influenzano direttamente la copertura ed i popolamenti vegetali. La flora è, comunque, quella tipica delle Alpi occidentali ed in particolare delle Alpi Graie.
Vi si rinvengono piante dell’area continentale e specie influenzate dal clima mediterraneo, soprattutto nell’alta valle dell’Orco.
La struttura geologica favorisce sia piante tipiche degli ambienti silicei, con suoli acidi, sia tipiche dei substrati sedimentari, con suoli basici.
Le foreste occupano solo il 6% del parco, anche perché i suoi confini sono piuttosto in quota, mediamente sui 1.500 mt. Lasciati i pascoli ed i paesi dei fondovalle, i sentieri del parco si immergono comunque in belle foreste.
Da Noasca o dalla valle dell’Orco si attraversano querceti e castagneti che cingono il limite inferiore del parco. Qua e là appaiono le prime betulle.
Ma già sul limite dei 1.200 mt la vegetazione è tutta un prevalere di larici ed abeti rossi. Mentre verso i 2.000 mt i boschi si diradano in favore dei pascoli e delle pietraie, regno dei rododendri.
A queste quote, nella bella stagione, ogni zolla è un giardino botanico. Fioriscono la nigritella e la stella alpina, l’androsace delle Alpi e la linnea boreale, il genepì dei ghiacciai ed il giglio di monte, il semprevivo dei monti ed il ranuncolo dei ghiacciai. Non mancano rari endemismi, come l’astragalo coda di volpe e l’Aethionema thomasianum incredibile presenza di una piantina diffusa nel nord dell’Africa. I prati sono il regno di nardo e festuca, con carlina e cardo spinosissimo.
Molte piante, per adattarsi alle avverse condizioni climatiche, hanno manifestato fenomeni evolutivi che ne hanno ridotto le dimensioni. Un esempio di nanismo è la Gentiana nivalis. Altro adattamento molto frequente è la pelosità di foglie, fusti e persino di fiori, come nell’anemone di primavera.
Altro carattere adattativo è il forte sviluppo radicale con una piccola porzione fuori terra, come nel caso della Campanula cenisia, dell’eritrichio nano e di alcune graminacee. Mentre altre piante, per difendersi dai venti, hanno sviluppato una forma a “cuscinetto”, come nel caso della Silene acaulis, di alcune sassifraghe e di alcune minuartie. Un’altra specificità della flora alpina è che il suo complesso è interessato per il solo 4% da piante annue, contro il 14% del totale delle specie vegetali esistenti.
Possono così trascorrere diversi anni, come ad esempio nella Gentiana lutea, per passare dal seme al fiore.
Eppure tutto ciò non significa povertà di specie o incapacità di adattamento, anzi. Basti pensare che è di una specie vegetale il primato d’altezza nel parco, è la piccola Gentiana bavarica che vegeta dai 3.900 mt di quota in su, a poca distanza dalla cima della Grivola.
Ma se non siete alpinisti esperti, il modo migliore, e alla portata di tutti, di ammirare il grandioso patrimonio floristico del parco è sicuramente quello di visitare il Giardino Alpino Paradisia, a Cogne.
Diecimila metri quadrati di giardino botanico all’aperto, sullo sfondo dei lariceti della Valnontey, inaugurato nel 1995 e visitato da oltre 30.000 persone l’anno.
Il giardino ospita circa 1.500 specie, suddivise per ecosistemi, sia del parco sia delle Alpi, ma anche di altre montagne del pianeta, nonché delle regioni artiche ed antartiche.
Qui potrete ammirare, anche, il rarissimo endemismo della val di Cogne, l’Aethionema thomasianum, ma anche l’Astragalus centralpinus, la Potentilla pensilvanica, la Linnea borealis, il Sedum cognense, la Saxifraga florulenta, la Wulfenia carinthiaca, il Sempervivum allionii, la Viola pinnata ed il Rhodothamnus chamaecistus. Per non parlare del bellissimo giglio Paradisia liliastrum che dà il nome al giardino.
Bellissimi sono i meandri della piana glaciale e alluvionale del Nivolet, in cui si osservano rare comunità vegetali.

Fauna
La storia del Gran Paradiso è la storia di un salvataggio riuscito. Quello dello stambecco, una imponente capra di montagna che dopo le glaciazioni aveva trovato rifugio nelle alte quote dell’arco alpino, così simili a quelle tundre ormai scomparse. Nel 1821 ne restavano in tutto un centinaio di esemplari, solo ed esclusivamente intorno al massiccio del Gran Paradiso.
L’istituzione della reale riserva di caccia nel 1856 e quella del parco nel 1922 ottenne gli effetti desiderati: nel 1932 gli stambecchi raggiunsero la cifra record di 3.865 individui. Ma in soli 13 anni la mano dell’uomo provò nuovamente ad estinguere la specie.
Nel 1945 ne sopravvivevano solo 420, ridotti sui più erti pendii e sulle più ardue cime. La colpa era da attribuirsi alla sostituzione delle guardie reali con la milizia forestale, non proveniente dal territorio e quindi meno capace di prevenirne i problemi. Ma il colpo di grazia, sicuramente, lo dette la guerra, a causa del rafforzato bracconaggio di gente ridotta alla fame.
La fine di quella terribile stagione di guerre è anche l’inizio di una solida azione di conservazione della natura nel nostro paese. Lo stambecco viene salvato e dal parco, oggi, è stato reintrodotto praticamente su tutte le Alpi ed in moltissimi paesi europei. Capra ibex un autentico simbolo della natura ed un monito per tutti noi, che abbiamo corso il rischio di perderlo per sempre.
Questa specie si rifugia in luoghi rocciosi ed impervi durante gli inverni perché non si trova a proprio agio sulla neve. Per questo i pendii ricoperti d’erba e le rocce a picco sono il luogo dove risiede, a differenza del camoscio adattato a spostarsi anche in presenza di un fitto manto nevoso.
A causa della sua scarsa tolleranza alle alte temperature
d’estate lo stambecco si spinge sino ai 3.000 mt di quota, in particolare durante il giorno, scendendo di quota per alimentarsi nelle ore più fresche.
Nel mese di novembre i camosci ed in dicembre-gennaio gli stambecchi hanno la loro stagione degli amori, si incontrano e si rincorrono sui pascoli e sui ghiaioni, ma anche su cenge impervie.
In pieno inverno, invece, gli stambecchi utilizzano le riserve di grasso, in genere senza scendere troppo di quota, mentre i camosci tendono maggiormente a riparsi nel bosco, giungendo alle volte a poca distanza dalle case.
Nel mese di maggio, invece, sono gli stambecchi a scendere di quota in modo più deciso, facendosi osservare in aree prossime ai fondovalle.
Circa 4.000 stambecchi e 8.000 camosci sono l’attrazione naturalistica del Gran Paradiso. I camosci restano ancora diffidenti, anche per gli innocui turisti amanti dei parchi, perché fuori dell’area protetta ne viene praticata la caccia. Ma se queste specie sono diffidenti ve ne sono altre che, con un po’ di pazienza, si potranno avvistare da molto più vicino. Si potrà passeggiare, infatti, tra i fischi di allarme delle marmotte, magari avendo la fortuna di osservare una lepre alpina, una pernice bianca o un ermellino, il cui accorto mimetismo le rende praticamente invisibili sulla candida neve o sulle brune rocce d’estate. I predatori presenti sono solo volpe, martora, faina e donnola, oltre alla grande aquila reale, avvistabile in tutto il parco.
Anche se da più di due secoli di assenza, in val di Rhêmes si è riaffacciata occasionalmente la lince, in ripresa un po’ su tutto l’arco alpino. L’ultimo esemplare era stato abbattuto nel 1918, stessa sorte dell’ultimo lupo, abbattuto intorno al 1862. I cosiddetti “nocivi”, animali stupendi, perfettamente adattati all’ecologia alpina, con il solo torto di competere con alcuni abitudini alimentari o sociali dell’uomo. Il lupo ha fatto timidamente ritorno al parco, con un esemplare osservato con discontinuità dal 2000. Critico, invece, qualsiasi pronostico sul ritorno dell’orso, il cui ultimo esemplare fu abbattuto nel 1856.
Più rosea è la situazione dell’avifauna. Tra i sassi delle alte quote si avvisterà facilmente il culbianco, oltre che il sordone ed il fringuello alpino. Al confine col bosco volano il gheppio, lo sparviere e la poiana, mentre al primo disgelo vi si svolgono le danze nuziali del gallo forcello.
Tra i boschi più integri vivono il picchio rosso maggiore ed il più raro picchio nero, mentre nelle notti preda furtivo il gufo reale, il più grande rapace notturno d’Europa. Un’altra sagoma di grande rilievo è quella del gipeto, il più grande avvoltoio alpino, il cui ultimo esemplare fu abbattuto nel 1912 ma che è stato reintrodotto in Alta Savoia nel 1987.
Uno degli uccelli più avvistabili è il gracchio alpino, vero signore dell’aria e dei venti a queste quote più estreme, cui a volte si associa il più massiccio corvo imperiale.
Un’altra caratteristica del parco è la ricchezza di fauna entomologica, che non si riscontra in aree simili. A tutt’oggi alcune varietà non sono state ancora completamente studiate, quindi non possiamo escludere che la scienza ci riservi qualche altra sorpresa nel valutare il patrimonio di biodiversità del massiccio e delle zone circostanti.
Sono presenti Catops caracinus, Bembidion glaciale, così come Ips tipographus. Si può osservare anche la nota Formica rufa, imenottero sociale organizzato in grandi e vistosi formicai.
I rettili popolano, prevalentemente, le grandi pietraie di cui il parco è ampiamente dotato. Non solo la temuta vipera comune, ma anche la lucertola vivipara, il ramarro occidentale, l’orbettino e la coronella girondina.
Nelle pozzanghere e nei laghetti è abbondante la rana temporaria, mentre l’ittiofauna non è particolarmente significativa, si segnala la trota marmorata, presente insieme a diverse altre specie di trota introdotte per la pesca, spesso colpevoli di inquinamento genetico della specie autoctona.

Geologia e geomorfologia
La formazione geologica è varia, con rocce di diversa età e provenienza, con gneiss sovente ricoperti da scisti calcarei variamente metamorfosati, derivanti da sedimenti marini dell’era mesozoica. Anche se l’aspetto geologico attuale è di una certa omogeneità, poiché il territorio è costituito per lo più di rocce di origine premesozoica, distinti in due gruppi separati da una fascia di rocce mesozoiche.
La prima costituisce il massiccio del Gran Paradiso: è formato da gneiss occhiadini derivati da rocce di tipo granitico, di quando in quando con gneiss a grana fine.
Il margine del massiccio è percorso da una copertura di origine mesozoica con quarziti, marmi, dolomie, gessi del Triassico e calcescisti del Lias.
La seconda zona costituisce il massiccio del Gran Nomenon e della Valsavaranche, che affiora nella parte nord-occidentale del parco. Una zona costituita da gneiss della serie permo-carbonifera, micascisti grafitici, prasiniti, dioriti e granodioriti, più o meno trasformate in gneiss, nonché da una copertura mesozoica erosa un po’ dappertutto, costituita da marmi, dolomie e gessi del Trias, nonché da marmi micacei e cloritici con brecce.
La fascia intermedia di rocce mesozoiche, che comprende la Grivola e la dorsale sinistra della Valsavaranche, è costituita da calcescisti, miche, filladi, micascisti del Giurese e del Cretaceo, oltre che ofioliti (rocce verdi).
La val di Cogne è ricca di filoni di ferro, che attirarono le prime colonizzazioni umane della zona.
È un parco d’alta montagna, con grandi territori ricoperti da nevi perenni e con moltissimi ghiacciai. In primavera, quando parte delle nevi si sciolgono, lasciano scoperti i circhi glaciali ed i detriti morenici, le praterie alpine ed i laghetti glaciali che alimentano il continuo ruscellare di una miriade di rigagnoli, torrentelli e veri e propri corsi d’acqua.
Uno spettacolo geologico di sicuro interesse ci è offerto, nel parco, dalle morene glaciali.
Con i loro affilati crinali e le distese di pietrame, caratterizzano il paesaggio alpino, anche perché sono in espansione a causa del progressivo sciogliersi dei ghiacciai, anche alle nostre latitudini.
La formazione della morena, infatti, è dovuta all’accumulo sulla superficie del ghiacciaio di detriti precipitati dalle pareti circostanti. Trasportati a valle dallo scorrere del ghiacciaio, la morena si forma dinanzi o a lato del senso di scorrimento del ghiaccio. Nel Gran Paradiso vi sono morene ormai abbandonate dai ghiacci, come in Valsavaranche intorno ai rifugi Chabod e Vittorio Emanuele II, mentre più instabili sono quelle del ghiacciaio Grand Crou. Nell’alta valle di Rhêmes, ai piedi della Granta Parei, ci sono vaste distese moreniche che comprendono anche il lago di Goletta.

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